Lo dicemmo già qualche articolo or sono.
Siamo nella fase della sigaretta elettronica under attack.
Capita ciclicamente che comincino a serpeggiare notizie che mirano con tutta evidenza a criminalizzare la sigaretta elettronica.
“Accusata” di far venire questo o quell’altro malanno, di provocare o facilitare questa o quell’altra patologia.
Primo punto: nella totalità dei casi siamo al cospetto di situazioni che non poggiano su basi scientifiche ma che fondano sostanzialmente su mere relazioni, su meri rapporti di casualità.
Siamo chiari: l’unica certezza che alberga sulla questione è quella data dai danni certi e provati legati all’uso del fumo.
E poi ce ne è anche un’altra di certezza incontrovertibile: svapare, ora come ora, 13 Settembre 2024, non ha ucciso una sola persona.
Per il resto solo ipotesi, solo forse e se e, soprattutto, tante notizie invase da troppe zone d’ombra.
Circola sui social, ad esempio, la vicenda di un giovane – la vicenda si è verificata all’Estero, non in Italia – che avrebbe accusato un grave problema di tipo respiratorio “dopo avere svapato”.
Una situazione che, in un certo modo, evoca un po’ il caso “Evali”, quello che sconvolse il mercato Usa nel 2019 allorquando una miriade di persone finì in ospedale, anche in quel caso “dopo aver svapato”, per poi scoprirsi che, in realtà, nessuno di loro aveva acquistato liquidi presso il mercato legale bensì presso il contrabbandiere sotto casa.
Ebbene, vuoi vedere che anche questo giovane che ha accusato le gravi problematiche di salute si scoprirà che, alla fin fine, avesse svapato (sempre che questa sia stata realmente la causa) immondizia acquistata su internet – ovviamente presso un rivenditore non autorizzato o attraverso altri canali pirata?
NON È LA STESSA COSA
No, non è la stessa cosa: il settore dello svapo, quello legale, si compone di una rigida filiera di controlli e di attività di supervisione che costano tantissimo, tra tasse e balzelli vari, ai produttori, ai grossisti e ai venditori finali.
Tutto nell’ottica di garantire sicurezza e tutela al consumatore finale.
Se poi qualcuno per risparmiare qualche spicciolo si rivolge al mercato abusivo finirà per rispondere al danno causato a se medesimo.
Però, il danno finisce paradossalmente anche per ricadere sul settore lecito: perché la notizia finisce in pasto al tritacarne media-social e passa il messaggio che, magari, quel giovane – a cui si esprime ovviamente piena solidarietà per il problema che ha passato e sta passando – avesse acquistato il liquido presso un normale negozio, facendosi così di tutt’erba un fascio.
Poi si scoprirà, come nel caso Evali, che la colpa era invece dei liquidi di contrabbando comprati presso il contrabbandiere ma il danno di immagine, intanto, è stato fatto.
E nell’immaginario collettivo, amplificato dalla cassa di risonanza dei social, passa il messaggio che magari, si, il fumo fa male ma che anche la sigaretta elettronica può giocare brutti scherzi.
Cosa falsa, come ben sappiamo: la sigaretta elettronica può salvare e salva vite umane perché, lo si ricordi, tale dispositivo è un prezioso strumento in chiave di smoking cessation.
Ma qualcuno preferisce demonizzarla, alla faccia delle sette barra otto milioni di persone che ogni anno in tutto il mondo muoiono per patologie fumo correlate.
- Scritto da Arcangelo Bove