Per ogni prodotto da svapo che non verrebbe venduto si avrebbero tredici sigarette fumate in più.
E’ questa la conclusione cui è approdato un approfondimento pre-pubblicato sul Social Science Research Network.
L’analisi ha voluto mettere in guardia rispetto a scelte – quelle, nello specifico, relative a divieti sugli aromi – che potrebbero ricadere pesantemente in termini di tabagismo e di numero dei fumatori.
Dai risultati emerge come “quando viene implementata una politica di divieto degli aromi per i prodotti da svapare, le vendite di questi prodotti diminuiscono mentre aumentano le vendite di sigarette combustibili”.
Ed ancora “L’aumento delle vendite di sigarette di tabacco cresce nel tempo.
Questo valore era più elevato negli Stati che avevano vietato i sapori per più di un anno rispetto a quelli in cui il divieto era più recente”.
IL CASO USA
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“Questo risultato – spiegano gli analisti – indica che la risposta sostitutiva osservata alle politiche relative al divieto degli aromi nello svapo non può essere attribuita alla disponibilità di sigarette al mentolo né essere interamente contrastata dai divieti di vendita di siffatte tipologie.
Non ci sono marche di “bionde” preferite quando le vendite di tabacco aumentano.
Sia che una politica di divieto degli aromi miri solo ad alcuni di essi miratamente, sia che i prodotti aromatizzati siano consentiti solo presso determinati rivenditori, in entrambi i casi il risultato rimarrebbe lo stesso: una diminuzione delle vendite di e-cig e un aumento delle vendite di tabacco”.
La questione del ban sugli aromi dei prodotti dello svapo ha una ricaduta estremamente attuale negli Stati Uniti: sono 375 le località ed otto gli Stati che hanno vietato la vendita di e-liquid, pod o puff contenenti fragranze diverse dal tabacco.
Uno stato di cose che, al di la degli aumentati consumi delle classiche sigarette, non ha mancato anche di far crescere il mercato nero degli stessi prodotti dello svapo.
- Scritto da Arcangelo Bove