Sarà solo un caso?
I Paesi che promuovono l’adozione delle alternative al fumo finiscono per avere tassi di fumo più bassi.
Lo sostiene una analisi condotta da Karl Fagerström – nota per l’omonimo metodo utilizzato per stabilire il tasso di dipendenza da nicotina – anche membro fondatore della Society for Research on Nicotine and Tobacco (SRNT) ed editore associato della rivista Nicotine & Tobacco Research.
L’esperto, in particolare, ha preso in esame le cifre relative al consumo del tabacco in quelle Nazioni che hanno promosso l’uso delle alternative – quali snus, riscaldato e sigarette elettroniche – e in altre altre che, invece, sono rimaste arroccate su una visione maggiormente conservatrice.
Nel dettaglio, Fagerström ha, da una parte, guardato al caso dato da Stati “innovativi” come Regno Unito, Giappone, Nuova Zelanda, Svezia e Norvegia e, dall’altra, a quello di realtà come l’Europa, nella generalità dei suoi 27 Stati membri, e dell’Australia che, invece, mostrano un atteggiamento di maggiore chiusura rispetto alle cosiddette alternative o prodotti di ultima generazione che si voglia dire.
Fagerstrom, in primis, attingendo agli stessi dati cui attinge l’Organizzazione mondiale della Sanità per le sue statistiche sull’incidenza del tabagismo nei singoli Paesi.
Numeri alla mano, quindi, lungi da diverse possibilità di interpretazione, sono state dedotte le seguenti conclusioni:
In primo luogo si è apprezzato come nel Regno Unito svapi il 7,7 percentuale della popolazione maggiorenne svapi contro il 2 mediano dell’Europa.
Ebbene, il tasso dei fumatori è calato nel Regno Unito (-4%), da un anno all’altro, in una misura doppia rispetto al Vecchio Continente (-2%).
ASIA E SCANDINAVIA
Altro raffronto è quello posto in essere tra Giappone e Australia e Nuova Zelanda e Australia.
In Australia, che ha adottato regole rigorose, addirittura proibitive sullo svapo, la prevalenza del fumo è scasa del 5,3% contro il 7 della Nuova Zelanda.
I tassi australiani di incidenza del fumo, ancora, sono più consistenti rispetto a quelli del Giappone (13,1 rispetto a 14,7) che, come noto, ha puntato in modo forte sulla possibilità data dal tabacco riscaldato.
Ma anche in terra scandinava si apprezzano importanti differenze: se, da un lato, Svezia e Norvegia – che sono pro snus – le percentuali dei fumatori sono abbondantemente sotto la soglia del 10 (rispettivamente 6 e 8), i cugini danesi e finlandesi, che non hanno un uso similmente diffuso dello snus, viaggiano su livelli di tabagisti ben più significativi – in inciso 12 e 13 percentuale.
“I dati esaminati (…) – ha commentato, facendo consuntivo, Fagerstrom – indicano che la sostituzione dei prodotti del tabacco combusto con altri prodotti a base di nicotina può aiutare a ridurre l’incidenza del fumo”.
IL CASO REGNO UNITO
Il caso dato dal Regno Unito è particolarmente significativo.
Oltremanica, infatti, si sono toccati, come da ultime rilevazioni, i livelli più bassi di fumatori nella storia recente.
I dati dell’Office for National Statistics hanno rilevato, infatti, come, con riferimento all’anno 2021, circa il 13,3% delle persone di età pari o superiore a 18 anni fumasse sigarette – in calo rispetto al 14,0% del 2020.
Parimenti, il 7,7% delle persone di età pari o superiore a 16 anni ha dichiarato di utilizzare sigarette elettroniche rispetto al 6,4% del 2020.
Crolla, rispetto a questo stato di cose, anche la teoria del gateway – quella secondo la quale lo svapo predisporrebbe all’uso delle sigarette classiche – tanto sbandierata dal partito degli anti-vaping.
Se la teoria del gateway fosse fondata, infatti, si dovrebbe assistere ad un aumento direttamente proporzionale dei numeri degli svapatori e di quelli dei fumatori.
E non, come sta accadendo, l’esatto contrario.
- Scritto da Arcangelo Bove