Bravo Beatrice.
Una domandina semplice semplice quella che si pone il professionista, tra i principali teorici del principio del minor danno da fumo.
“Ma siamo sicuri che i Caf, ovvero i Centri antifumo – si interroga il medesimo – siano la mossa giusta per far smettere di fumare?”
Un’analisi numeri alla mano quella che pone in essere il noto otorinolaringoiatra.
“In base ai dati Omceo – spiega – in Italia ci sono circa 357.000 medici .
In tutto le aziende sanitarie italiane sono 225 comprensive di Asl ed Aso.
Dal 1992 ad oggi sono diminuite.
Poiché i Centri antifumo esistenti sono circa 300 è possibile che in media ogni Azienda sanitaria locale ne abbia uno o magari due o tre.
Qualcuno anche nessuno.
Facendo valutazioni medie funziona così.
Attualmente i Caf vedono meno di 100 fumatori all’anno per ciascuno, qualcuno supera questa cifra ma sono pochi.
In pratica vengono aiutati circa 8000 fumatori all’anno.
In media ogni centro vede meno di 30 fumatori.
“BISOGNA APRIRE LA PROPRIA MENTE”
Questo perché – insiste il professore Beatrice – poche persone si dedicano a tempo pieno a chi fuma e perché non ci sono risorse.
Io, che ho fondato un Centro antifumo nel 2000, mi sono dedicato ogni giorno a vedere almeno due fumatori ed ho impiegato circa un’ora al giorno del mio tempo istituzionale, circa il 20% dell’orario – ed è tantissimo per uno che deve curare, visitare ed operare.
Facciamo una ipotesi e, cioè, che ogni Centro tratti almeno cento fumatori all’anno.
Sarebbero 1.200 fumatori in un anno per ogni Centro antifumo . Sono cifre enormi ma teniamole pure per buone visto che è un ragionamento ipotetico. Arriveremmo a circa 360.000 fumatori all’anno trattati e si potrebbe stimare che la metà potrebbe smettere – vogliamo essere molto ottimisti.
Si tratta di 180.000 presunte cessazioni.
Si tratterebbe di una operazione colossale che avrebbe la chance di far smettere l’1,5 % di chi fuma ogni anno.
Come misura di Sanità pubblica, non funzionerà mai: sarebbe solo una facciata ad alti costi.
Uno specchietto per allodole. Molto meglio – osserva l’anche docente universitario – orientarsi sulle politiche di riduzione del rischio.
Questa è la ragione per la quale ho firmato tutti gli appelli che mi sono pervenuti in tema di riduzione del rischio: dalla lettera di Karl Fagestrom alla petizione di Anafe agli interventi sulla consultazione pubblica Scheer. Non vedo ombra di politiche di aiuto ma sento parlare solo di tasse e divieti.
Sembra che si occupi di tabagismo in massima parte gente che non ha mai avuto a che fare con i fumatori.
Abbiamo a che fare con una dipendenza: i muscoli servono a poco, necessita un approccio più intelligente visto che il tabagismo produce 80.000 morti all’anno . Bisogna aprire la propria mente ed essere ricevibili se – la conclusione – si vogliono avere risultati”.
- Scritto da Arcangelo Bove